martedì 3 marzo 2009

SALVIANO DI MARSIGLIA, De Gubernatione Dei

dura fiscalità romana e fuga verso i territori barbarici (V sec.)

Il brano è tratto dal De Gubernatione Dei di Salviano di Marsiglia (400 ca.-480 ca.), che nella sua opera inserì i rapporti tra romani e barbari in un progetto provvidenziale.

[SALVIANO, De gubernatione Dei, V, 4-5, in IDEM, Oeuvres, II, a c. di G. LAGARRIGUE, Sources chrétiennes, 220, Paris, Les Editions du Cerf, 1975, pp. 320-29.]

"Per ciò che riguarda i nostri rapporti coi Goti e coi Vandali, in che cosa ci possiamo ritenere superiori o anche paragonarci a loro? In primo luogo, riferendoci all’amore e alla carità […], quasi tutti i barbari, almeno quelli che appartengono ad una stessa gente e hanno lo stesso re, si amano vicendevolmente, mentre quasi tutti i romani si perseguitano tra loro […]. Ora in molti si esprime una nuova e impensabile deviazione del senso morale: per qualcuno è poco essere felice; è necessario che siano infelici gli altri. Da quest’empia mentalità discende ancora una crudeltà ignota ai barbari e invece familiare ai romani: l’esazione delle imposte permette loro di rovinarsi reciprocamente. Per meglio dire, non reciprocamente: la cosa sarebbe più tollerabile se ciascuno dovesse sopportare quanto avesse fatto soffrire agli altri. Ciò che è più grave, è che molti sono colpiti da pochi, per i quali la riscossione delle imposte è divenuta una rapina e che trasformano i titoli del debito fiscale in una fonte di profitto privato. E non sono soltanto i funzionari più elevati, ma anche gli impiegati dei gradi più bassi; non solo i giudici, ma anche i loro sottoposti. In quali città, anzi in quali municipi e in quali villaggi i curiali non sono altrettanti tiranni? D’altra parte si fanno vanto di questa qualifica, perché essa sembra sinonimo di potenza e di onore. È infatti proprio di tutti i briganti di strada rallegrarsi e inorgoglirsi se vengono considerati più crudeli di quanto non siano in realtà. Quale è dunque il luogo, come dissi, dove i capi delle città non divorino i beni delle vedove e degli orfani e quelli di tutti gli uomini di chiesa? Infatti questi ultimi vengono considerati come orfani e vedove, perché non vogliono difendersi per rispettare i loro voti, o non possono farlo per la loro umiltà e per la loro innocenza. Nessuno di costoro è dunque sicuro e nessuno, eccetto i più potenti, è immune dalla devastazione del latrocinio, se non quelli che sono della stessa stoffa dei briganti. Le cose sono degenerate a tal punto che si salva solo chi è malvagio. Ma in verità, tra tanti che spogliano i buoni, forse ci sono alcuni che prestano soccorso contro questa generale rapina che, come dice la Scrittura, strappano l’indigente e il povero dalle mani del peccatore? (Ps. 82, 4). Non vi è chi operi il bene, forse solo uno (Ps. 14, 3). E la Scrittura dice “forse solo uno” perché la rarità dei buoni è tanto grande che il loro numero sembra ridursi a una sola unità. Chi infatti può recare soccorso agli oppressi e agli afflitti, dal momento che neppure i sacerdoti del Signore sono in grado di resistere alla violenza dei malvagi? Molti di loro, o tacciono o è come se tacessero, anche quando parlano, e molti lo fanno non per mancanza di fermezza, ma di proposito e a ragion veduta […]. Tacciono anche coloro che possono parlare, perché sono indulgenti con i mascalzoni, né vogliono metterli dinanzi alla forza dell’aperta verità, per timore di renderli ancora peggiori. Così, intanto, i poveri sono rovinati, le vedove gemono, gli orfani vengono calpestati, a tal punto che molti di loro, e non di oscuri natali e di raffinata educazione, si rifugiano presso i nemici, per non morire sotto i colpi della pubblica persecuzione, e cercano presso i barbari l’umanità romana, dal momento che non possono sopportare presso i romani la barbara inumanità.E, sebbene siano diversi per usanze, siano diversi per lingua e anche, per così dire, per il fetore che emana dai corpi e dalle vesti dei barbari, preferiscono tuttavia dover sopportare tra i barbari una profonda differenza di costumi, piuttosto che tra i romani una devastante ingiustizia. Perciò, un po’ alla volta, emigrano verso i Goti o i Bagaudi, o verso altri territori dominati dai barbari, né si pentono di essere emigrati; preferiscono vivere liberi sotto un’apparenza di prigionia che vivere prigionieri sotto un’apparenza di libertà".


Re Ostrogoti

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